Arte sostenibile?

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  • #815
    Stefano Cieri
    Keymaster

    Per caso (ma è naturale che succedesse prima o poi), da un semplice update si è aperta una discussione che decisamente ha bisogno di uno spazio più ampio.

    Per praticità, riporto in questo topic quanto dicevo lì (ho rimosso i commenti da quell’update, a parte il post originale, per evitare ridondanze):

    Ancora non riesco a mettere bene a fuoco una prospettiva privilegiata, da cui guardare a iniziative del tipo presentato nell’update. Però ho idea che salterà fuori, tanto dalle discussioni su architettura e urbanistica, quanto da quelle su fenomeni bottom-up di partecipazione del cittadino, riappropriazione degli spazi, civic hacking e affini, quanto quelli che hai già nominato. In fondo sono mondi legati, che apparentemente tendono ad avvicinarsi sempre di più (e a produrre risultati più interessanti che in passato).
    Sul tema dell’arte, in particolare, sono ancora più confuso. Tutto bello, tutti bravi, però prima o poi toccherà mettere anche quella di fronte alla ”necessità” dello sviluppo sostenibile e temo che sarà un’impresa tostissima 🙂

    A questo, @elez81 rispondeva…

    #818
    Elena Leurini
    Keymaster

    “Sul tema dell’arte, in particolare, sono ancora più confuso. Tutto bello, tutti bravi., però prima o poi toccherà mettere anche quella di fronte alla ”necessità” dello sviluppo sostenibile e temo che sarà un’impresa tostissima”

    >>>sono d’accordo e la questione a riguardo è veramente complessa specialmente per quanto riguarda l’arte “ufficiale”. Non so da cosa dipenda, ma mi sono fatta una teoria a riguardo: il fatto che l’opera d’arte sia un pezzo unico, tende a giustificare il risultato senza peoccuparsi del mezzo; per di più, in un mondo dove prevale l’immagine finale sul processo, tendono ad esserci critici e insegnati con meno consapevolezza, senso critico e curiosità, conditi ad una variabile dose di narcisismo che guardano alle opere senza considerare il modo in cui sono state fatte, un pò perché il risultato è ciò che per loro conta, un pò perché non ci pensano proprio, di conseguenza non se lo chiedono proprio. Il risultato è un approccio più o meno superficiale. In realtà ho sviluppato questo punto di vista sia perché raramente i musei che organizzano mostre di arte contemporanea offrono percorsi interessanti, sia perché una volta ho partecipato ad una conferenza all’Accademia di Belle Arti di Roma e sono intervenuta dichiarando il mio disappunto rispetto all’opera Trash Man:

    Condannavo che la base di ogni uomo fosse di poliuretano e che non fossero composti solo da materiale di scarto compattato, cosa che sarebbe potuta essere possibile, per la natura del materiale utilizzato (lattine), e avrebbe reso il progetto coerente. Sono stata letteralmente “mangiata” perché quella è “un’opera meravogliosa che dice che noi siamo prodotti e quindi la Sua affermazione è totalmente fuori luogo”. Vabbè…comunque io resto della mia opinione: quell’opera ha un grande impatto visivo ma è una contraddizione intrinseca, perché molto inquinante e temporanea, poiché il poliuretano non dura per sempre ed ad un certo punto comincerà a sgretolarsi…altro che consapevolezza ecologica!

    Tuttavia, nel mondo underground sono nate realtà artistiche interessanti, alcune delle quali hanno conquistato anche il mondo artistico “ufficiale”:
    – Gli artisti dei Reverse Graffiti invece sono assolutamente e totalmente sostenibili. Non conosco i nomi degli artisti ma questo video e quest’altro video. Sostanzialmente, invece di apporre materiale, come può essere il colore nel graffito tradizionale, loro lavano via la fuligine dell’inquinamento atmosferico depositata dalle superfici verticali, ormai annerite, delle nostre città. Il risultato è semplicissimo e, proprio per questo, strepitoso: immagini bicolori, che comunicano a 360° denunciando (come nel caso dei due video) la pessima qualità atmosferica delle metropoli.
    Banksy che è ormai (giustamente) un’artista di fama internazionale che si è distinto proprio per lo spirito a volte critico e altre ironico dei suoi messaggi, quando la street art (almeno per come la conoscevo) non usava mai il segno per comunicare un punto di vista o per denunciare e neanche per interagire col contesto.

    E’ vero pure però che Banksy fa attenzione alla natura del materiale che usa solo da un punto di vista semiotico, tralasciando totalmente quello ecologico. Tuttavia l’impatto ecologico credo sia basso perché utilizza e modifica oggetti esistenti, insomma il suo approccio è una sorta di ready-made.

    Blu che è ormai anche lui (giustamente) un’artista di fama internazionale che si è distinto non solo per il suo spirito critico, ma anche per la fantasia. Usando segni infantili, primondiali Blu racconta metafore attraverso il linguaggio degli oggetti e dei soggetti della vita quotidiana.

    Per dipingere le facciate degli edifici usa gli strumenti solitamenti associati ai muratori, quindi anche i bidoni di vernice…non so di che tipo, si potrebbe mandare mail x togliersi il dente… 😉
    Mutoid, gruppo di scultori post punk di Londra, trasferitosi nel 1989 in Germania e a inizio anni ’90 in Italia, nei pressi di Santarcangelo di Romagna, dove fondano Mutonia, “villaggio degli scarti”, dove continuano a svolgere attività performative e visuali a difesa del libero arbitrio e del recupero del rapporto dell’uomo con la natura in un’ottica post-industriale.

    Mutonia viene sfrattata nel luglio 2013, come si legge su WIkipedia. Da qui, la rivolta popolare, che è arrivata in parlamento.

    #1293
    Stefano Cieri
    Keymaster

    resuscito questo thread solo per segnalare quello che riportavo qui:
    http://www.futuroanteriore.org/members/mapofemergence/activity/3687/
    dal mio punto di vista, ci entra molto con quanto si discuteva in questa sede.
    Il dibattito sul fatto che l’arte in generale abbia o meno un valore d’utilita’ diventa essenziale, quando si cerca di inquadrare il concetto di arte sostenibile sia nei contenuti, che nel modo di attuarla e, in ultima istanza, sui reali effetti di una data opera (e quindi la sua effettivita utilita’). Per me, un tema delicato che e’ parte integrante di questo ragionamento, e’ la responsabilita’ dell’artista e il grado di consapevolezza delle effettive ripercussioni della sua opera.

    Un po’ di segnalazioni sparse, su titoli che son saltati fuori mentre cercavo un po’ in rete:

    http://dl.acm.org/citation.cfm?id=2810180&CFID=653000547&CFTOKEN=74423468
    Il paper di un intervento al Siggraph dell’anno scorso, cui ho assistito con molte riserve ma che, alla fine, si e’ dimostrato piu’ maturo e informato di quanto non credessi.
    Se qualcuno fosse interessato ad approfondire, ho sia il PDF del paper che la registrazione dell’intervento al Siggraph.

    Di quell’intervento, mi aveva colpito particolarmente il lavoro di Dunne e Raby.
    Qui un articolo in cui si parla di loro (io li ho conosciuti via @tmslnz) e sull’ontologia del concetto di “Design Speculativo”:
    http://form.de/en/magazine/form263/focus
    formulato in:
    https://mitpress.mit.edu/books/speculative-everything

    Mi sembrano, seppure discutibili nel complesso, ragionamenti comunque piu’ maturi di quelli che troviamo in articoli del genere:

    How Soon Is Now? A Precarious Environment Roots in Art


    dove troviamo segnalata una pletora di sensibilizzatori poco attenti a ragionamenti piu’ profondi

    #1434
    Stefano Cieri
    Keymaster

    Una segnalazione veloce:

    Trovo che l’autrice Rachel Sussman abbia trovato un ambito interessante di ricerca e apprezzo l’approccio ibrido fra ricerca e arte, nonche’ la valenza divulgativa del suo lavoro.
    Nonostante cio’, credo che la presentazione in se’ rimanga piuttosto “tiepida”. In particolare ho avuto la sensazione che la natura ibrida del suo approccio compromette l’intento del suo lavoro: la parte artistica rimane poco espressiva, la ricerca non e’ cosi’ profonda e, in ultima istanza, la potenza del messaggio rimane debole e il potenziale impatto comunicativo minimo.

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